Mi trovavo a Pineto, una mattina di aprile, a sorseggiare un caffè al banco dell’Hotel Centrale. La giornata era limpida, con quel sole abruzzese che sa già di primavera anche quando l’inverno non è ancora del tutto finito.
Scrollando il telefono, mi imbatto in un post su Facebook. Un ristoratore scriveva:
«Ho ridotto le pizze da 100 a 25 e adesso, finalmente, la pizzeria guadagna davvero».
L’ho letto due volte.
Non perché mi stupisse il contenuto (è esattamente ciò che ripeto da anni nei percorsi di consulenza), ma perché, quando queste parole arrivano da chi ha vissuto l’esperienza sulla propria pelle, sembrano valere il doppio.
Se a dirlo è un consulente, subito qualcuno storce il naso: “Vuoi vendere qualcosa”.
Ma quando a dirlo è un collega, uno che si è sporcato le mani in cucina, che ha contato le pizze e fatto i turni lunghi, allora quella frase diventa testimonianza.
In quel momento ho ripensato a un episodio di qualche tempo fa, accaduto proprio qui in Abruzzo.
Passeggiando nel centro di Pescara, avevo notato l’insegna di una pizzeria che annunciava, a caratteri cubitali: “Oltre 150 tipi di pizza!”
Ho sentito un piccolo colpo al cuore. Non di commozione, ma di preoccupazione.
Centocinquanta pizze.
Centocinquanta farciture, combinazioni, logistiche.
Centocinquanta motivi per complicarsi la vita, disperdere energia e — soprattutto — allontanarsi dal vero obiettivo: creare valore, qualità e sostenibilità nel lavoro quotidiano.
Mi sarebbe piaciuto entrare, salutare con garbo e chiedere — da collega, non da ispettore — una cosa semplice: “Quali sono le pizze che vendete di più?”
La risposta l’avrei già immaginata: le solite 10-15 classiche.
Il resto? Tempo, ingredienti e spazio sprecati.
La verità è che il menù non è un romanzo da leggere né un muro da riempire.
Il menù è un manifesto strategico. È il biglietto da visita della nostra visione, della nostra identità, della nostra sostenibilità.
Oggi più che mai, semplificare è una forma di intelligenza.
Sfoltire non significa impoverire.
Ridurre non vuol dire rinunciare: vuol dire scegliere con più consapevolezza.
Chi lavora nella ristorazione sa bene che ogni voce in più sul menù può trasformarsi in un piccolo ostacolo.
E chi ha avuto il coraggio di cambiare rotta, spesso scopre che la vera ricchezza sta nella chiarezza, non nella quantità.
Pescara me lo ha ricordato.
E l’Abruzzo, con la sua essenzialità concreta, mi ha suggerito ancora una volta che la semplicità è la forma più evoluta di professionalità.
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Ringrazio e saluto Emiliano Citi di RistoBusiness che mi ha ispirato questo articolo!